I Falisci secondo il Leoncini

di Letizia Tessicini 27/09/2005

Poiché il Leoncini sostiene la tesi secondo cui Orte sarebbe una colonia falisca, all’inizio della sua opera “Fabbrica d’Orta” riporta alcune interessanti notizie su quelle che erano le origini e le usanze dei Falisci, così come poteva leggerne nelle fonti antiche. Ecco cosa scrive:

I Falisci ebbero origine molti anni prima dei Romani, precisamente 3213 anni dopo la creazione del mondo, 430 anni dopo la distruzione di Troia, il primo anni della XXVII Olimpiade[1]. Il loro antenato si dice fosse Aliso Argivo[2], come secondo il Massa e Dioniso di Alicarnasso i quali sostengono che i Falisci discenderebbero dai Greci, ed altri autorevolissimi autori sostengono lo stesso.

Da Strabone ci giunge la precisazione per cui la Toscana non fu dominio falisco, ma confinò con le terre di tale popolo.

Molto viene poi detto della giustizia e dell’equanimità del popolo falisco, che si governava autonomamente, con magistrati eletti anziché re, e che aveva proprie leggi.

Loro capitale era Faleri[3] (Falaris secondo Catone e Faleria in Dioniso d’Alicarnasso), città che da alcuni autori è elencata tra le dodici città locumoniche degli Etruschi[4]; se rimane il dubbio dell’appartenenza di Faleri alla dodecapoli, sono certi i contati profondi che si avevano con gli Etruschi, dato che è testimoniata la presenza di magistrati falisci, detti Larghi o Lucumoni, al consiglio presso il tempio del dio Vertunno[5].

Essendo questo popolo, come dice Eutropio, molto numeroso, esso fondò un gran numero di colonie nel suo territorio, tra cui appunto Orta, e tali luoghi erano anch’essi sottoposti a magistrati; Polibio riporta la notizia, citata dal Leoncini, che sotto Q. Lutezio e A. Mallio consoli vennero uccisi quindicimila falisci e altri ottennero la pace; parimenti Livio narrando dell’impresa di Furio Camillo nel 361, riporta come il territorio di tale popolo fosse gremito di popolazione agreste e di ville.

Il Leoncini passa poi ad informarci di quali fossero gli dei adorati dai Falisci: primo tra tutti cita Vadimone, che era venerato nel Lago detto Vadimone che è nel territorio ortano, il quale secondo l’autore è da identificarsi con l’etrusco Vertunno e il romano Giano; infatti, dice il Leoncini, il simulacro di Giano venne introdotto a Roma con quattro facce da Faleri e molti autori citano un tempio nell’Urbe dedicato a Vertunno che altro non è che il tempio dedicato a Giano. A tal proposito viene riportata anche la notizia di vari ritrovamenti di teste bifronti in territorio ortano, delle quali una ritrovata in località Pietragnano[6] venne portata a Roma dal Mons. Spinola, governatore del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia.

I Falisci erano poi fervidi devoti di Giunone, e questo pare per onorare le origini greche; nel Monte Soratte adoravano Apollo, Ferocia, Orchia e Atena Pallade. E infine come molti altri popoli essi adoravano Bacco ed avevano propri Baccanali.

I Falisci dunque erano popolo a se, di così bei modi di vivere e con leggi così equanime e savie che da Virgilio e Silio Italico vennero chiamati Giusti[7]. Viene riportata poi la teoria secondo cui i Romani presero dal popolo falisco lo Ius Fetiale e alcuni ordinamenti delle XII tavole e che per tale motivo sotto Tarquinio Prisco fu introdotto l’ordinamento oplitico proprio dei Greci[8] e la dichiarazione di guerra mediante i Fetiali[9].

Il territorio falisco, aggiunge il Leoncini sempre seguendo le sue autorevoli fonti, è molto fertile, ricco di boschi e monti, abbondante di fonti e corsi d’acqua anche sulfurea. Qui si coltivavano molti tipi di grano, la vite, l’ulivo, canape e lino molto ricercato in Roma.

I Falisci erano dunque un popolo ricchissimo ed evoluto e per il loro territorio passavano numerose vie di comunicazione, le quali vennero, come sottolinea lo stesso Leoncini, tracciate dagli eserciti di Roma quando voleva combattere gli Etruschi.

Nel Foro di Roma, ci racconta il nostro autore, era posta una colonna detta miliaria, la quale riportava i nomi di tutte le strade che si dipartivano dall’Urbe e tra questi anche quelli delle vie falische: la Cimina, la Tiberina, e poi la Flaminia e l’Amerina. Prima che i Falisci fossero sotto il dominio romano però, tali vie non esistevano, ve ne erano altre che vengono citate da Livio: la via Bovilla lastricata dagli Eruli e la via Augusta, del cui tracciato si sono perse quasi completamente le tracce.

Il territorio Falisco è indicato dalla freccia rossa

Questo è il popolo dei Falisci come ce lo riporta il Leoncini. 


 

[1] Le Olimpiadi cadono ogni quattro anni; la scansione temporale tramite la cadenza olimpionica è propria dei Greci e il primo anno dell’Olimpiade va interpretato come il primo anno dopo l’inizio della 27° olimpiade.

[2] Argivo, quindi di Argo, un greco secondo le fonti.

[3] Oggi Falerii Novi.

[4] (?).

[5] Come in Livio, prima decade.

[6] Petignano (?).

[7] aequi que falisci.

[8] In realtà la tecnica oplitica venne introdotta con Servio Tullio nell’ambito della creazione delle cinque fasce di censo che sottendono l’ordinamento centuriato dell’esercito. L’ordine oplitico infatti determinava la posizione di ciascun elemento nell’esercito in base alla sua possibilità di armarsi, quindi in base alle sue disponibilità economiche e al suo censo.

[9] La guerra era, per i Romani, una vera e propria istituzione sociale che doveva seguire dei riti giuridici che facevano capo a Fides, la divinità della buonafede. La guerra giusta è quella dichiarata secondo le regole e a questo erano addetti i sacerdoti feziali: questi portavano con loro una zolla d’erba del Campidoglio e una pietra che simboleggiava Giove e con questi amuleti si recavano disarmati nel campo di battaglia per chiedere soddisfazione e affermare il loro buon diritto; quindi gettata la pietra dicevano: “Che io mi spezzi come questa pietra, che non riveda mai la mia patria, se il mio reclamo è ingiusto ed empio”. Se la soddisfazione viene rifiutata allora invocavano gli dei a loro testimoni e davano via alla battaglia: la vittoria simboleggiava il favore degli dei e la giustizia del reclamo. I Feziali eseguivano anche il rito per la fondazione di una nuova colonia o per l’apertura di un campo militare: ogni città aveva infatti due nomi, uno conosciuto da tutti e l’altro segreto e inviolabile che conteneva anche il nome della divinità protettrice; questo perché in caso d’assedio il nemico non avesse la possibilità di richiamare fuori dalle mura la divinità, lasciando così la città senza protezione, i sacerdoti feziali erano appunto quelli che conoscevano questo nome segreto.